sabato 5 novembre 2011

Dirty Corner - Anish Kapoor

Pochi giorni fa sono venuta a sapere che c'era un'esposizione di Anish Kapoor a Milano, dislocata tra la Rotonda di Via Besana e la Fabbrica del Vapore. Purtroppo la parte relativa alla Rotonda si è conclusa il 9 ottobre scorso, quindi mi sono dovuta limitare alla Fabbrica del Vapore, che invece è aperta al pubblico fino all'8 gennaio 2012 alla modica ci fra di 6€ (4€ con il ridotto).

Anish Kapoor è uno sculture ed architetto anglo-indiano che costituisce uno dei maggiori esempi di arte contemporanea a livello mondiale.  La caratteristica principale delle sue opere è che, a suo dire, prendono davvero vita solamente con l'esperienza da parte dello spettatore. 
È un discorso che a me ricorda molto il concetto della Ruota del Dharma: l'opera nasce con la scultura, per mano dell'artista, e si completa con l'esperienza.


Questo concetto è molto forte in Dirty Corner. Si tratta di un'installazione site-specific, e cioè che Anish Kapoor ha creato appositamente per questo polo espositivo: un enorme tunnel in acciaio, lungo circa 60 metri, alto circa 8, con un diametro di circa 3 e con un'imboccatura che somiglia molto ad una calla.
La prima "tappa" di questa esperienza particolare è l'obbligo di firmare una liberatoria: senza saperlo si sta già iniziando a sperimentare le sensazioni che dopo avranno letteralmente il sopravvento, ancora prima di pagare il biglietto d'ingresso! Con la firma di quel foglio, in cui si sollevano l'artista e gli organizzatori da qualsiasi responsabilità relativa alle eventuali "conseguenze" della visita, si sta accettando l'ignoto. Ammetto che, essendo una cosa così insolita, ha un po' agitato sia me sia le mie compagne d'avventura.
Dopo aver firmato e pagato il biglietto si entra in questa enorme sala della Fabbrica, chiamata "Cattedrale". Il contrasto tra la sala illuminata a giorno dalle immense vetrate e il buio che si vede al centro del tunnel è davvero forte: anche questo, ripensando alla situazione, contribuisce inconsciamente ad aumentare il senso di ansia. Altro elemento che prepara all'accettazione dell'ignoto è il fatto che la fine della sala non è visibile, c'è un muro che impedisce di vedere dove finisce il tunnel o com'è alla fine, se c'è un'altra apertura, niente. Una cosa cui invece inizialmente non è ben chiaro il significato è il cumulo di terra che, nel corso del tempo previsto per la mostra, ricopre gradualmente il tunnel, ma andiamo per gradi.


Una volta preso atto del fatto che si sta per passare da una situazione perfettamente sotto controllo, illuminata e nota, ad un'altra di cui nulla ci è dato sapere se non la lunghezza del percorso, ci si trova di fronte all'imboccatura. Oggi eravamo solo in tre, quindi abbiamo avuto tutto il tempo di guardarci intorno indisturbate, osservare il contesto, e prepararci ad entrare... ma quando è stato il momento di iniziare il percorso, tutte quante eravamo ugualmente abbastanza agitate. All'inizio, per via anche dell'apertura a forma di calla, il tunnel non è molto buio, quindi si procede a passi abbastanza sicuri. Dopo un po', però, si inizia a percepire un senso di smarrimento: il piano d'appoggio non è regolare, quindi i passi sono sempre più piccoli e sempre meno sicuri, le pareti sono molto larghe e oltretutto, trattandosi di un tunnel, sono concave e non è possibile usarle come riferimento. 
Dirty Corner punta senza dubbio alla deprivazione sensoriale, non aggiunge stimoli anzi ne toglie: toglie al corpo le sue sicurezze e gli impedisce di adottare le sue solite reazioni agli stimoli. Nel momento in cui mi accorgo di essere circa a metà del percorso, ricordo anche il cumulo di terra: è proprio sopra di noi in quel momento, e l'idea di trovarsi sotto un cumulo di terra, in un posto di cui non si vede l'uscita, non è esattamente rilassante. 
Poco alla volta si arriva all'uscita, non c'è nessuna rassicurante "luce infondo al tunnel", nessuno sbocco enorme, c'è solo una piccola porticina che invita all'uscita. E in ogni caso, anche vedendo quel piccolo spiraglio di luce, il sollievo non è poco.
Una volta terminato il percorso, non essendoci nessun altro, decidiamo di ripeterlo. Inutile dire che l'abbiamo fatto in meno della metà del tempo e con molta più spavalderia. Questa è la prova del fatto che il tema della materialità del vuoto, molto presente in Kapoor, è stato centrato in pieno: ho provato delle sensazioni incredibili e ho sperimentato l'enorme tangibilità dell'assenza. A conferma di quello che ho detto in apertura, nelle opere di questo artista c'è senza dubbio un contributo fondamentale dell'esperienza umana. Anche leggendo questo post è possibile vivere il percorso, ma non sarà mai come farlo personalmente; soltanto così l'opera avrà vita in noi. 

In conclusione quindi mi sento di dire che a mio parere si tratta di un'installazione riuscitissima, con un contesto curato nel dettaglio e che permette di inserirsi per gradi nella sperimentazione dell'opera. 


R.M.

3 commenti:

  1. Bello Silvietta!!! mi piace come scrivi
    adesso sono ancora più curiosa *_* spero di riuscire ad andarci davvero

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    1. hai tanto tempo ancora, e poi se vai in un momento in cui non c'è nessuno, tipo il sabato mattina, o la sera tardi, è ancora meglio perchè te lo godi con i tuoi tempi e riesci ad entrare bene nello stato mentale che serve!

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  2. Che dire? Davvero una figata per come l'hai descritta! Non so se farò a tempo a visitare questa mostra per ovvie ragioni ma nel caso terrò a mente questa tua analisi. Inoltre ho trovato molto affascinante il concetto della "tangibilità dell'assenza". Geniale davvero

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