lunedì 27 settembre 2010

Personnes - Christian Boltanski

Ieri, con la dispersione dell'opera, si è definitivamente conclusa Personnes, l'esposizione di Christian Boltanski all'Hangar Bicocca di Milano. Inizialmente doveva terminare il 19 settembre, ma è stata prolungata per via della grande affluenza.

Per comprendere questa installazione, però, credo sia necessario fare una piccola presentazione dell'artista. Christian Boltanski è un artista contemporaneo francese, nato nel 1944 e tutt'oggi vivente. I temi che ricorrono maggiormente nelle sue opere sono l'infanzia, l'inconscio, la morte, l'assenza, la perdita e la memoria, quest'ultimo tema probabilmente è dovuto anche fatto che il padre era ebreo e quindi in lui è molto forte il ricordo della Shoah. Le opere di Boltanski sono perlopiù installazioni che vedono l'utilizzo di foto, film, video e collage in generale: spesso adopera oggetti che in realtà non ha mai posseduto, in modo da ricostruire la propria storia personale attraverso la storia di tutti. 

Ora possiamo finalmente entrare alla mostra. All'ingresso c'è l'unico pannello che introduce brevemente quello che si andrà a vedere, non parla però di nulla di quello che ho scritto poco fa, quindi si tratta a mio parere di una cosa abbastanza banale e poco utile se una persona non si è documentata prima. 
Appena entrati ci si immerge in un ambiente molto buio, è un lungo corridoio con uno strano sottofondo musicale: la registrazione dei cuori di tutti i visitatori delle mostre precedenti (il progetto di Boltanski è quello di archiviare l'umanità attraverso Les archives du cœur - L'archivio dei cuori). Sulla sinistra di questo corridoio, inoltre, scorrono dei video muti che ritraggono alcune persone occupate nei più diversi lavori manuali; la percezione che ho avuto in quel momento è stata quella di abbinare il battito del cuore a quelle persone ed è stato come sentirle più vicine, forse l'artista voleva proprio questo effetto, o forse voleva solo costruire una specie di memoria collettiva come quella di cui si parlava nell'introduzione, non lo so. 
Poco più avanti il corridoio si allarga e diventa più luminoso, il battito dei cuori si fa più forte e si può vedere una strana installazione: delle torri fatte con vari materiali come vetro, cartone ed altre cose sicuramente riciclate o recuperate, danno l'idea di trovarsi in una specie di città fantasma, idea accentuata anche dal fatto che il battito dei cuori è più forte e quindi sembra invadere gli spazi vuoti.
L'ultimo ambiente è quello forse più caratteristico e denso di significati. Una montagna di vestiti usati simboleggia l'assenza, poichè mancano proprio fisicamente le persone che li hanno indossati; questi vestiti vengono poi spostati in modo casuale da una gru, riconducibile al caso (o alla mano di Dio) che domina la vita delle persone e decide come spostarle, dove e in che modo. Il significato di questa sezione però è ulteriormente accresciuto negli ultimi due giorni: sabato e domenica, infatti, era possibile partecipare alla dispersione dell'opera portando via alcuni vestiti dal mucchio. In questo modo è come se i vestiti prendessero nuova vita, e allo stesso tempo la mostra può dirsi eco-sostenibile dal momento in cui per gran parte si è dispersa in modo autonomo e senza spreco di materiali.

Si tratta quindi di un'esposizione molto particolare, mi è piaciuto soprattutto il lato interattivo della cosa, non solo per il fatto dei vestiti, ma anche perchè per tutto il periodo di apertura della mostra era possibile registrare il battito del proprio cuore ed arricchire ulteriormente l'archivio dei cuori. Inoltre per essere una mostra di arte contemporanea, 
una volta preso atto di quei due o tre concetti base che sono le linee conduttrici dell'arte di Boltanski, secondo me era molto semplice da comprendere.




R.M.

venerdì 24 settembre 2010

Salvador Dalì. Il sogno si avvicina



Mercoledì pomeriggio ha avuto inizio questa grande esposizione e io, da buona ammiratrice di Dalì, mi ci sono fiondata al volo :)  Prima di esprimere il mio giudizio personale però vorrei fare una piccola premessa introduttiva per chi non ci è ancora stato.



Il percorso della mostra prevede quattro aree tematiche, che si sviluppano lungo sette stanze:

1. Paesaggi storici: guardare dietro di sé e intorno a sé. Le opere di questa sezione hanno tutte a che fare con il passato dell'artista

- Stanza della memoria (Venere di Milo con cassetti)
- Stanza del male (Melanconia atomica)

2. Paesaggi autobiografici: guardare dentro di sé. In questa sezione ci sono le opere più surrealiste e si approfondisce il tema dell'inconscio.

- Stanza dell'immaginario (Ricerca della quarta dimensione)
- Stanza dei desideri (Stanza di Mae West)

3. Paesaggi dell'assenza: guardare oltre di sé. Qui la persona umana scompare gradualmente per lasciare spazio solamente al paesaggio.

- Stanza del silenzio (Cammino dell'enigma)
- Stanza del vuoto (Il rapimento di Europa)

4. Epilogo. Si tratta della stanza conclusiva, dedicata al rapporto dell'artista con Walt Disney.

L'ingresso è già di per sè molto particolare: si oltrepassa un tendone scuro e si entra in un corridoio molto buio, l'unica cosa illuminata è la parete laterale su cui sono riportati due interessanti brani ad introduzione della mostra.

Dopodichè si procede nelle due stanze successive. Qui il gioco di luce dell'ingresso prosegue, la luce è infatti concentrata solo sulle opere esposte e questa scelta stilistica secondo me è davvero bellissima, perchè in questo modo chi cammina tra le opere esposte riesce realmente ad isolare se stesso, concentrandosi soltanto sulle opere e su ciò che lo circonda (notare per l'appunto il titolo dell'area tematica: guardare intorno a sè).  

Con il subentrare del secondo tema cambia anche l'illuminazione, che nelle stanze successive diventerà rosso acceso, azzurro o bianco, anche in relazione ai temi trattati.

Le luci non sono però il solo elemento degno di nota, va infatti detto che lungo tutto il percorso espositivo sono presenti moltissimi pannelli esplicativi, sia dell'area tematica, sia della stanza in particolare, sia delle opere più particolari. Non mancano nemmeno i video con le interviste all'artista, tutti elementi secondo me importantissimi.

Gli elementi più importanti della mostra però, quelli che le danno un tocco di originalità e che le permettono di non scadere nel banale, non sono tanto i dipinti (pur essendo naturalmente di altissimo livello), bensì la ricostruzione della Stanza di Mae West ed il filmato inedito di Walt Disney.

Per quanto riguarda la Stanza di Mae West le cose da dire si restringono solo ad un puro e semplice: andate a vederla. Si tratta di qualcosa di veramente unico nel suo genere, per la prima volta vengono usati un proiettore ed uno schermo al posto dell'usuale gioco di specchi: così facendo ci si avvicina molto di più all'idea originale di Dalì e si percepisce ancora di più quanto questo artista abbia anticipato di decenni l'arte pop.

L'ultima stanza è dedicata a Destino, cortometraggio realizzato in collaborazione tra Dalì e Walt Disney, ultimato solo nel 2003. Guardando questa breve animazione si percepisce la mano di Dalì in ogni minimo dettaglio ed è anch'esso molto interessante. Nella stanza sono poi presenti alcuni disegni eccezionalmente esposti grazie alla collaborazione della Walt Disney Company.

I giochi di luce, l'ampia documentazione audio-visiva e il prezioso contributo di alcune opere eccezionalmente esposte, rendono quindi questa mostra assolutamente degna del nostro tempo. Vorrei però fare un'ulteriore precisazione, Dalì è un autore notoriamente complesso e molto particolare, quindi non ci si deve aspettare di comprendere tutto ciò che si vede. Molte opere e molti dipinti appariranno oscuri ai vostri occhi, così come in parte lo è stato per me, però a mio parere una mostra del genere va vista, anche a costo di apprezzarne solo il lato più superficiale. Dico questo in primo luogo perchè si tratta di una delle poche manifestazioni artistiche a cui sono stata che ritengo essere stata curata molto bene, in secondo luogo perchè una pittura a livello di quella di Dalì è davvero difficile da trovare, la cura dei dettagli, i colori, i contrasti, sono qualcosa di unico ed irripetibile che i libri non potranno mai trasmettervi.

R.M.

giovedì 2 settembre 2010

It’s not only Rock’n’Roll, Baby!

Le mie aspettative legate a questa mostra in Triennale Bovisa (Milano) erano molte. Mi incuriosiva parecchio l'idea di vedere come dei grandi artisti del rock hanno provato ad esprimersi anche attraverso il pennello, la fotografia o il collage. Gli artisti esposti sono dodici: Alan Vega, Andy (dei Blue Vertigo, l'unico italiano), Antony (Antony and the Johnsons), Bianca Casady (CocoRosie), Chicks on Speed, Devendra Banhart, Fischerspooner, Kyle Field, Patti Smith, Pete Doherty, The Kills, Herman Dune. 


Prima di entrare ci è stato dato un foglio a4 con l'elenco numerato delle opere esposte, con giusto un paio di informazioni circa la loro dimensione e la tecnica di realizzazione, ed un altro piccolo depliant con qualche riga introduttiva alla biografia degli artisti. All'inizio della mostra c'è un breve riquadro introduttivo su quello che si andrà a vedere, poi nulla per tutto il resto dello spazio espositivo. In ogni stanza, infatti, sono presenti solamente le opere, esposte per la maggior parte in ordine molto lineare. Sotto di loro soltanto un numero, che trova corrispondenza nel foglio sopraccitato; foglio che tra le altre cose non rispetta l'ordine di comparizione delle opere, quindi si deve stare molto attenti a quel diavolo di numerino messo lì sotto (molto pratico devo dire!). L'ultima stanza dell'esposizione è poi dedicata alle interviste fatte dal curatore della mostra (Jérôme Sans) a tutti gli artisti. Ora, visto che queste interviste sarebbero state perfette per introdurre i vari artisti volta per volta, non era forse meglio usarle proprio a questo scopo? Sono pronta a scommettere che il 70% delle persone, arrivate a quella stanza, perde la pazienza di leggere dopo due, massimo tre interviste. E come non capirli, ormai sono fuori contesto e mettendole così tutte insieme non vengono apprezzate/capite.


A mio parere si tratta quindi di un'esposizione organizzata davvero male.
Tanto per cominciare perchè è troppo confusionaria, cosa costava mettere la classica etichetta sotto al quadro anzichè fare un inutile e incasinato foglio a4? In questo modo, oltre a sprecare inutilmente della carta, si distrae moltissimo colui che guarda perchè anche solo per sapere il titolo dell'opera deve mettersi lì e cercarlo sul foglio. Non è per niente immediato, e francamente lo trovo proprio inutile. 


In secondo luogo penso che chi va ad una mostra d'arte voglia imparare qualcosa. E come può farlo se nessuno gli dà delle informazioni in più? Sappiamo benissimo tutti che l'arte non è riassumibile in poche parole, però mettendo delle didascalie un minimo introduttive, se non al singolo quadro almeno all'autore, è sicuro che si offrono degli spunti di riflessione. Se poi ad una persona interessa, allora prende e si studia l'argomento per conto suo (proprio per questo ritengo che le interviste sarebbe stato meglio metterle passo passo un po' alla volta, ed in relazione a quello che trattavano). Anche perchè qui si trattava di una mostra molto particolare. Se devo andare ad una mostra su di un artista specifico, oppure su un movimento artistico preciso, allora è molto probabile che prima leggerò qualcosa, mi documenterò minimamente sull'argomento. Ma in una situazione come questa è pressochè impossibile farlo. Si tratta di dodici artisti, conosciuti dai più solamente dal punto di vista musicale. A parer mio si sarebbero quindi dovute sprecare due parole in più per permettere al fruitore di apprendere realmente qualcosa, anche perchè si trattava per la maggior parte dei casi di arte concettuale. 


Io sento che oggi il mio bagaglio culturale si è arricchito veramente poco, perchè ho apprezzato molto Andy dei Bluvertigo, che non conoscevo in questa veste, però per il resto è stato davvero difficile entrare in contatto con l'opera e capirne qualcosa.

Andy. True Blue. Acrilicofluo su tela


Quello che credo io è che una mostra debba avvicinare la gente all'arte, debba invogliare le persone a frequentare i luoghi di cultura e in questo caso secondo me la Triennale ha fallito in pieno. Ho percepito questa esposizione come qualcosa di molto elitario e dedicato solo a una certa nicchia di pubblico. Parlando proprio di questo con chi mi ha accompagnato nella visita, è venuta fuori una somiglianza con la filosofia che trovo geniale. Ci sono alcuni filosofi che sembra quasi che non vogliano essere capiti, perchè usano un linguaggio contorto e molto complesso .. lo stesso funziona per le esposizioni come questa, sembra che l'arte in questi casi non voglia essere spiegata, non voglia essere capita. 


Naturalmente tutto ciò che ho scritto è molto personale, quindi chiunque non condivida può benissimo commentare e dire la sua. Mi piace lo scambio di opinioni, sempre e comunque :)

R.M.