mercoledì 26 ottobre 2011

L'apparizione

Per via del suo gusto marcatamente intellettualistico, Gustave Moreau predilige la pittura su grande formato e di soggetto storico o mitologico. Come Puvis, Moreau è un precorritore del simbolismo vero e proprio: con lui i temi colti e letterari della pittura contemporanea si caricano di una nuova sensibilità, fondata su una visione interiore.


L'apparizione (1876) rappresenta una libera interpretazione della storia biblica del re Erode e di Giovanni Battista. In realtà la protagonista di tutto il dipinto, così come nell'opera teatrale di Oscar Wilde, è la principessa Salomè: con la sua danza seduce il re, costringendolo a giustiziare Giovanni. 
La versione analizzata qui è particolarmente efficace, proprio perchè già dal titolo è chiarissima la rinuncia alla precisione narrativa. Non c'è la danza di Salomè, e nemmeno la presentazione della testa da parte del boia. C'è invece un gesto molto coreografico della principessa, che sembra pietrificata nell'indicare la macabra apparizione del capo mozzato di Giovanni. La testa levita magicamente al centro dello spazio, al di sopra di tutti, irradiando la scena di una luce mistica e irreale. 

L'attenzione è senza dubbio spostata sull'interiorità, sulle pulsioni e sugli istinti più primordiali. La centralità della macabra apparizione ci permette di inserire a pieno titolo questa tela tra i dipinti simbolisti, in quanto attraverso di essa Moreau dà forma ad un nuovo archetipo femminile. La donna non è più relegata a mero oggetto di desiderio maschile, ma mette in atto una sorta di liturgia precisa servendosi del proprio fascino e della propria sensualità.


R.M.

martedì 25 ottobre 2011

L'arte come maestra di vita.

«Ogni arte è nel tempo stesso superficie e simbolo.
Chi va oltre la superficie lo fa a suo rischio e pericolo.
Chi decifra il simbolo lo fa a suo rischio e pericolo.
L'arte in verità non rispecchia la vita, ma lo spettatore. (...)
Tutta l'arte è completamente inutile.»


- Oscar Wilde


È così che Wilde conclude l'introduzione al Ritratto di Dorian Gray, ed esprime alcune verità fondamentali riguardanti l'arte: un insieme di superfici e simboli, una fusione tra il concetto che viene rappresentato e la parte materiale che lo rappresenta. 
Proprio da qui deriva una delle grandi bellezze dell'arte, il fatto che possa esprimere qualcosa di profondo, che sfugge allo spettatore distratto ma non a colui che vuole davvero capire. Ed essendo che non esiste il manuale d'interpretazione di ogni opera, è naturale che l'interpretazione dell'opera stessa sia un rispecchiarsi di quello che noi crediamo. Possiamo vedere l'opera come a noi piace di più, come ce la sentiamo più vicina. Alla luce di tutto questo, quindi, il fatto che l'arte sia "inutile" è chiaramente uno dei paradossi di Wild. L'arte è tutto fuorchè inutile, ci indica la strada per guardare dentro noi stessi e per interpretare i simboli della vita. 



R.M.